domenica 27 aprile 2014

L’Emilia-Romagna non ha mai sospeso le attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi

Il decreto-legge n. 74 del 2012, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, colpite dal sisma del maggio 2012, autorizzava il Presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani ad assumere i poteri del Commissario delegato. In ragione di ciò, il 16 novembre 2012 Errani emanava l’ordinanza n. 76/2012, con la quale consentiva che il Capo del Dipartimento della Protezione Civile costituisse una Commissione tecnico-scientifica, composta da esperti di comprovata ed elevata professionalità, anche appartenenti alla comunità scientifica internazionale, chiamata a valutare le possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento dell’attività sismica, nell’area colpita dal sisma. L’11 dicembre 2012, il Capo della Protezione civile Franco Gabrielli adottava, quindi, un decreto di istituzione della Commissione richiesta. Con delibera n. 706 del 3 giugno 2013, la Giunta regionale, richiamandosi al principio di precauzione, disponeva, quindi, la sospensione di “qualsiasi decisione in merito ai progetti di ricerca e coltivazione idrocarburi che riguardino i territori colpiti dal sisma del maggio scorso e compresi nel cratere, fino a che non sarà noto l’esito della Commissione tecnico-scientifica”. Il 17 febbraio 2014, la Commissione trasmetteva i risultati dei suoi lavori alla Giunta regionale, che, in data 15 aprile 2014, provvedeva a darne pubblicazione integrale sul proprio sito web. Nel rapporto presentato, la Commissione, dopo aver sottolineato come, al ricorrere di date circostanze, la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi generino attività sismica, riteneva di non poter né confermare né escludere, per il caso emiliano, la correlazione tra attività sismica e attività concernenti gli idrocarburi.
La delibera della Giunta del 2013 e l’atto di indirizzo approvato pochi giorni fa dal Consiglio non incidono in alcun modo sui procedimenti autorizzatori concernenti gli idrocarburi: né su quelli conclusi, né su quelli in corso. La delibera del 2013, cui l’atto di indirizzo del Consiglio pare richiamarsi, ha, infatti, ad oggetto “la sospensione di qualsiasi decisione in merito ai progetti” concernenti gli idrocarburi e, dunque, unicamente la sospensione di qualsiasi decisione che sia di competenza regionale. Ora, poiché l’unica decisione che la Regione può assumere in ordine a tali procedimenti è – com’è noto – il rilascio dell’intesa con lo Stato, ne viene che: 1) circa i procedimenti già conclusi con il rilascio di un titolo, tale decisione non può più essere adottata; 2) circa i procedimenti non ancora conclusi con il rilascio del titolo, tale decisione potrà essere adottata solo quando la richiesta di rilascio dell’intesa da parte dello Stato arriverà sul tavolo della Regione.
Quest’ultima evenienza, al di là del coinvolgimento della Regione nelle fasi sub-procedimentali (come ad es. sulla VIA), non risulta, tuttavia, ancora essersi verificata; nessun titolo e nessun procedimento, infatti, risultano sospesi per effetto degli atti varati dalla Regione.
D’altra parte, nel momento in cui lo Stato richiederà alla Regione di rilasciare l’intesa, a nulla servirà aver disposto una sospensione della decisione della competenza regionale, in quanto – fermo restando che, conformemente a quanto più volte la Corte costituzionale ha precisato, è illegittimo prevedere con atto legislativo un divieto generalizzato al rilascio dell’intesa – l’omissione al rilascio del concreto atto di assenso e il dissenso stesso, alla luce del quadro normativo vigente, non impedirebbero comunque allo Stato di assumere in solitudine le proprie determinazioni sui titoli minerari.
Desta preoccupazione, infine, la modifica apportata al decreto-legge 74/2012 il 30 dicembre scorso, in base al quale nei territori delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici del 2012, troverà applicazione la disciplina delle “zone a burocrazia zero”, prevista dall’articolo 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. In base a detta disciplina, infatti, per le attività produttive avviate dopo il 2010, “i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte (…) sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo” se vi è una proposta in tal senso da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, e “si intendono senz’altro positivamente adottati entro 30 giorni dall’avvio del procedimento se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine”. Tale disciplina potrebbe tranquillamente interessare anche i procedimenti relativi agli idrocarburi (come ad es. il procedimento concernente il permesso di ricerca “San Patrizio”), atteso che la Corte costituzionale ha precisato che la c.d. “burocrazia zero” può esplicarsi “nei più svariati ambiti materiali, sia di competenza esclusiva statale (…), sia di competenza concorrente ovvero residuale regionale” (sent. n. 232/2011).

ENZO DI SALVATORE 
STEFANO LUGLI
 

martedì 15 aprile 2014

Appello ai parlamentari abruzzesi affinché presentino una interrogazione urgente su "Ombrina mare"

Prendiamo atto che, nonostante l’ampio risalto dato dai mass media regionali alle nostre rivelazioni sulle dichiarazioni di Medoilgas SpA, i partiti di governo non hanno finora proferito parola. 
A proferir parola è stato invece, molto prima della notizia della  “tresca” tra Medoilgas e il Governo, il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, che, audita in Parlamento il 27 marzo scorso, ha dichiarato:


Io credo all’esigenza di dare corso agli investimenti privati per la ricerca e per la produzione di idrocarburi. Guardate, io qualche giorno fa ho avuto modo di incontrare l'Amministratore Delegato di una grossa compagnia, che mi diceva che ha più o meno 4 miliardi di euro di investimenti totalmente privati bloccati in una regione del Sud Italia dove, come dire, vorrebbero procedere a fare ….

È probabile che il Ministro volesse sostenere che il valore del petrolio da estrarre grazie a quel progetto sarebbe pari a 4 miliardi di euro oppure che le aziende del futuro distretto minerario abruzzese potrebbero generare investimenti privati per un importo complessivo pari a 1,4 miliardi di euro. Il che ci porterebbe dritti dritti al progetto abruzzese di “Ombrina Mare” e ad incrociare magicamente le dichiarazioni rese il 24 febbraio scorso agli azionisti di Medoilgas dall’Amministratore Delegato della compagnia inglese, William Higgs, che nella stessa solenne occasione ebbe a dichiarare che “La Società è in costante dialogo con il Governo italiano e altri stakeholder chiave per cercare risoluzione su una via da seguire per il progetto al di fuori dei tribunali.

Con il presente appello chiediamo ai parlamentari abruzzesi di presentare una interrogazione urgente affinché il Ministro Guidi faccia chiarezza sulla vicenda e spieghi se l’Amministratore Delegato di tale “grossa compagnia”, che in audizione lo stesso  Ministro afferma di aver incontrato, sia proprio l’Amministratore di Medoilgas. Nel caso in cui si tratti di detta società, chiediamo, inoltre, di sapere da quanto tempo andrebbe avanti tale “costante dialogo” tra la MOG e il Governo italiano e quale soluzione sarebbe stata individuata “al di fuori dei tribunali”, posto che sulla vicenda di Ombrina si sta ancora attendendo il deposito della sentenza del TAR Lazio. Nel caso in cui non si tratti, invece, della MOG, chiediamo di sapere a quale altra compagnia petrolifera si riferisca il Ministro Guidi.

Enzo Di Salvatore, Candidato alle elezioni europee  per "L'Altra Europa con Tsipras"
Maurizio Acerbo, Consigliere Regionale e Candidato alla Presidenza della Regione Abruzzo


giovedì 10 aprile 2014

Cosa importa all'Europa delle nostre riforme costituzionali

Nelle scorse settimane il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha incontrato alcuni leaders europei e ha illustrato loro il pacchetto di riforme costituzionali che il Governo vorrebbe far approvare dal Parlamento. Angela Merkel e François Hollande – ha dichiarato Renzi – si sono detti “colpiti” da tale proposito, perché “è il segno che l’Italia è pronta a fare la sua parte nel percorso di cambiamento in corso”: “come possiamo essere credibili a chiedere un’altra Europa se da trent’anni la discussione sul bicameralismo è sempre quella?”.
La domanda che occorrerebbe porre al Presidente Renzi è la seguente: “Cosa dovrebbe importare alla Merkel e a Hollande delle nostre riforme costituzionali?”. Non si capisce, infatti, perché dovremmo essere più credibili sul piano europeo se, dico per dire, il Governo italiano, anziché trovare una qualsivoglia soluzione alla corruzione dilagante e all’evasione fiscale, dichiari solennemente il proprio impegno a modificare il sistema parlamentare italiano e le relazioni che lo Stato intrattiene con le autonomie territoriali. Ciò, almeno, non è di immediata evidenza. È sufficiente, tuttavia, leggere il disegno di legge di revisione costituzionale approvato il 31 marzo in Consiglio dei Ministri per capirne il perché.
L’art. 114 della Costituzione, com’è noto, afferma che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” e che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Con questa dichiarazione – introdotta nel 2001 – si era inteso dire che l’autonomia degli Enti locali dovesse dipendere non più dalla legge dello Stato, ma dalla Costituzione; ciò avrebbe accordato agli Enti locali la possibilità di definire da se medesimi lo statuto, i poteri e le funzioni. Tale autonomia, tuttavia, conosceva taluni temperamenti, ricavabili dalla stessa Carta costituzionale, in quanto l’art. 117, comma 2, lett. p) attribuiva allo Stato la competenza a disciplinare con legge gli “organi di governo” e le “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.
Il testo licenziato ora dal Governo tenta di far rientrare dalla finestra quello che si era voluto buttare fuori dalla porta: il disegno di legge costituzionale vorrebbe, infatti, affidare al Parlamento la competenza ad intervenire con legge in materia di ordinamento locale tout court. La qual cosa finirebbe per ridurre di molto l’autonomia costituzionale degli Enti locali, fino al punto da vanificarne la stessa essenza.
Guardiamo a quel che accade sul fronte delle relazioni dello Stato con le Regioni. Circa il nuovo riparto delle competenze legislative, il disegno di legge del Governo attribuisce nuove materie in capo allo Stato: oltre a riconfermare nelle mani dello stesso l’ambiente e l’ecosistema, l’art. 117 della Costituzione affida al Parlamento anche la competenza esclusiva sui beni culturali e paesaggistici, sulle norme generali sulle attività culturali, sul turismo, sull’ordinamento sportivo, sulla produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia, sulle norme generali sul governo del territorio, sulle infrastrutture strategiche. Se si provasse a fare un “mix” tra tutte queste “materie”, si comprenderebbe chiaramente quale sia l’obiettivo perseguito dal Governo: dare il via libera alla realizzazione delle c.d. “grandi opere”, comprese quelle controverse e contestate soprattutto dalle collettività locali. Si pensi al MUOS in Sicilia o ad Ombrina mare in Abruzzo.
A cosa serve, dunque, ricondurre in capo allo Stato la competenza legislativa su tali “materie”? Ad evitare che le Regioni possano legiferare sulle stesse e a far saltare le garanzie che la Corte costituzionale aveva individuato in favore delle autonomie territoriali. Mi limito a considerare la materia energetica. Sebbene la riforma costituzionale del 2001 abbia attribuito l’energia alla competenza concorrente dello Stato (chiamato a stabilire i principi fondamentali) e della Regione (chiamata a disciplinare il dettaglio), la Corte costituzionale ha da tempo sostenuto che lo Stato possa sì disciplinare per intero la materia energetica in presenza di interessi di carattere unitario, ma a condizione che alle Regioni sia lasciata la possibilità di esprimersi sulle scelte energetiche effettuate a Roma attraverso lo strumento dell’intesa. Con il disegno di legge di revisione costituzionale questa (implicita) garanzia verrà, invece, meno. L’intesa della Regione, infatti, si configura come una sorta di compensazione per la “perdita” di competenza dovuta alla decisione dello Stato di attrarre a sé la competenza sulla materia energetica. Detto altrimenti: la competenza sull’energia è – secondo la Costituzione vigente – dello Stato e della Regione ad un tempo. Esigenze di carattere unitario – collegate a ragioni di politica economica nazionale – impongono, tuttavia, che solo lo Stato provveda in materia. Questa decisione – perché possa ritenersi legittima – impone che le Regioni (e anche gli Enti locali) siano coinvolti nei processi decisionali. Se passerà il pacchetto delle riforme tale coinvolgimento non sarà più costituzionalmente necessario.
Ma non è tutto. Il testo licenziato dal Governo stabilisce, inoltre, che “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale”. In questo modo, come si vede, nessuna delle materie di competenza regionale resterà immune dall’intervento statale. Lo Stato potrà intervenire sempre, in ogni tempo, solo perché magari il Governo avrà valutato che l’esercizio della competenza legislativa della Regione possa compromettere la realizzazione di taluni (non meglio precisati) “programmi”.
Ecco, mi pare abbastanza chiaro perché la Merkel e Hollande dichiarino di essere favorevolmente “colpiti” dalle riforme di Renzi. Perché tali riforme vanno esattamente nella direzione da loro auspicata ovvero tendono a rimuovere tutti quei lacci e lacciuoli, che si frappongono ad una rapida e unilaterale decisione dello Stato (indotta, magari, da una “richiesta” dell’Europa). Lacci e lacciuoli che in altri tempi, e con una parola sola, si sarebbero chiamati “democrazia”. Ma, se così fosse, allora qualche dubbio di compatibilità del disegno di legge con il principio fondamentale di garanzia (sostanziale) dell’autonomia recata in favore degli enti territoriali ex art. 5 Cost. andrebbe seriamente posto.


ENZO DI SALVATORE